martedì 19 luglio 2011

Intervista a Luca Tarenzi


Autore di fantasy, le sue storie sembra di viverle, anziché di leggerle. E’ un’esperienza quasi soprannaturale, stai leggendo le battute della protagonista e vengono citate le serie tv che tu stesso guardi ogni giorno, come Supernatural. E non puoi fare a meno di pensare “Cavolo! Come scrive bene questo qui. (si! A volte penso anche in modo un po’ sgrammaticato!!).. Luca Tarenzi rende il fantasy così… reale e possibile.” 
E per spiegarvi quello che sto dicendo, per chi ancora non lo avesse letto, lo cito in “Quando il Diavolo ti Accarezza”. Sta parlando Lena, una ragazza normale, la cui vita si è casualmente scontrata con un universo di angeli e demoni. “E’ che ci cresci con certe cose. Le vedi al cinema, nei telefilm, le leggi nei romanzi, e tante volte ti sembra davvero che possano esistere sul serio, che se le dovessi incontrare nella tua vita… ecco, saresti preparata. Voglio dire, non è che esci e ti aspetti di incontrare Gandalf al supermercato o un vampiro in una discoteca di fighetti, ma poi vedi un angelo che vola fuori dalla metropolitana e l’unica reazione che hai è ‘Cazzo, lo sapevo che c’erano davvero!’ …”
Va bene, smetto di tergiversare e inizio con le domande? …. Partiamo!
Ciao Luca, benvenuto nel blog e grazie mille per aver accettato di rispondere a qualche domanda per soddisfare la nostra curiosità…
Quando hai cominciato a scrivere e inventare storie?
Le storie le invento da che ho memoria, ma questo vale per il 90% di chi sta leggendo queste righe. Invece – e questo so che è più raro – non sono stato nemmeno attraversato dall’idea di scrivere un romanzo prima dei 27 anni, e anche allora ho cominciato perché ‘forzato’ da circostanze esterne: ero rimasto senza lavoro, non ne trovavo un altro e qualcosa dovevo pur fare per rimanere a galla nel secchio della frustrazione. Prima di quel momento il gusto per le storie lo sfogavo nei giochi di ruolo, viziaccio che non ho mai perso e a cui ancora oggi indulgo ogni maledetto sabato pomeriggio dell’anno, con gran soddisfazione mia e dei miei amici giocatori.
Leggere e scrivere che importanza hanno nella tua vita?
Scrivo per lavoro e leggo per divertimento, e allo stesso modo scrivo divertendomi e leggo per lavoro. Negli ultimi anni è diventato difficile per me scindere le due cose.
Di sicuro non scrivo solo per il piacere di scrivere, non l’ho mai fatto: qualunque cosa abbia messo su una pagina, l’ho messa con l’obiettivo di arrivare a pubblicarla. È un lavoro che mi piace, non un piacere che si trasforma da sé in lavoro.
Sull’altro fronte, la lettura si porta via una gran fetta del mio tempo libero. Per lavoro leggo quello che mi passano da valutare, e lì capita molta roba che di mia iniziativa nemmeno prenderei in mano; per divertimento leggo fantasy, fantascienza, horror e saggistica, e siccome ho imparato a scegliere bene quel che mi interessa, di soddisfazioni ne trovo tante. Ormai però leggo quasi esclusivamente in inglese, perché in italiano trovo di rado qualcosa che mi piaccia. E covo un’invidia segreta per chi riesce a leggere cento o più libri in un anno; io non riesco assolutamente a leggerne più di uno a settimana, come massimo.
Sarà una domanda di quelle cattive? Beh.. al massimo puoi non rispondere, giusto?! – Quando scrivi, pensi a dei messaggi specifici da trasmettere al lettore? Oppure, scrivi solo per … raccontare la storia che hai in testa? O per quale altro motivo?
In realtà è una domanda facile, alla quale ho risposto molte volte e sempre allo stesso modo. Io sono un autore commerciale e mi considero uno scrittore di genere. Lo scopo delle mie storie è essere belle storie: per me è già una gran fatica ottenere questo, se e quando lo ottengo. Voglio divertire il lettore, farlo ridere, farlo meravigliare, farlo emozionare, fargli venir voglia di sapere come andrà a finire. Sicuramente ci sono scrittori con aspirazioni molto più grandi di queste, ma non io.
Un bel libro può avere qualcosa da trasmettere o non averlo: magari diventa anche migliore se ce l’ha, ma non diventa peggiore se non ce l’ha. Viceversa, un libro che si regge tutto sul suo ‘messaggio’ o sulla sua ‘morale’, tolti i quali resta poco o niente, non è un libro che mi interessa scrivere, né tantomeno leggere.
Qual è il libro migliore che tu abbia mai letto? E il peggiore, se esiste?
Questa è la domanda cattiva, non la precedente! ‘Migliore’ e ‘peggiore’ sono termini assoluti: è dura trovare spazio per applicarli.
Come compromesso posso indicare il migliore e il peggiore tra quelli letti negli ultimi 2-3 anni. Il primo è probabilmente ‘Pan’ di Francesco Dimitri, che ha fatto da solo e dal nulla l’urban fantasy italiano, punto e basta. Il secondo è senz’altro ‘Sisters Red’ di Jackson Pearce, romanzo dal concept semplicissimo – due sorelle che cacciano lupi mannari nell’America di provincia – che l’autrice è riuscita a trasformare in un polpettone di atroci banalità e avvenimenti privi del minimo senso logico. Evitatelo come la peste.
A ben pensarci, però, il libro che mi ha segnato di più in tutta la vita è un classico della fantascienza: ‘La mano sinistra delle tenebre’ di Ursula LeGuin.
Da lettore e scrittore di fantasy, quali sono a tuo parere, le caratteristiche per un buon fantasy?
Le stesse di un buon libro di qualunque genere: conoscenza dell’argomento, stile scorrevole (sintassi semplice, non una parola più del necessario, descrizioni stringate e niente ‘pezzi di bravura’ pseudo-poetici che impiegano otto righe per descrivere un’emozione), padronanza delle strutture (sapere ‘cosa funziona’ e in che ordine e misura vanno messi gli elementi) e attenzione equamente divisa tra cervello e stomaco del lettore (molto importante nel fantasy, dove immaginazione ed emotività sono coinvolte con forza).
È una risposta banale, lo so, ma è tutto quello che ho da dire sull’argomento. Buone capacità letterarie possono tranquillamente fare di un’idea trita una storia gradevole, e cattive capacità fanno senz’altro di un’ottima idea una poltiglia illeggibile. Di mio non ho remore contro nessuna forma di fantastico, e allo stesso modo non ho il feticcio dell’originalità: ho letto centinaia di storie banali eppure godibilissime, e parimenti molte (non troppe, perché le schivo) storie ostinatamente originali che sfociano in pessimi romanzi. Forse la caratteristica fondamentale di un buon fantasy è proprio il non pensare che qualcosa ‘ci debba essere a ogni costo’ o al contrario ‘non ci debba entrare in nessun caso’.
Sempre rimanendo in tema, uscendo a fare book-shopping, lo scaffale “fantasy” appare all’occhio con una grande percentuale di autori stranieri, mentre lo spazio dedicato agli autori italiani è minimo. Perché a tuo parere? Scelte commerciali?
Da quel che posso giudicare io, in buona parte non è nemmeno una scelta: è un’abitudine. Gli autori italiani sono ancora pochi, gli autori stranieri sono un mare sconfinato (nel quale di solito l’editoria italiana ‘pesca’ con un occhio alle cose peggiori, ma questo è un altro discorso…) che esiste da decenni. In Italia ancora non c’è una scena fantasy; al massimo se ne vedono le prime avvisaglie. Bisogna aspettare, selezionare, lasciare che il pubblico (che è un animale dalla digestione lenta) si abitui ai cambiamenti e che gli editori (che sono ancor più lenti del pubblico) se ne accorgano. E soprattutto bisogna mettersi d’impegno a lavorare bene sui libri. Ma che le cose cambino ‘tra gli scaffali’ è fuor di dubbio: rispetto a dieci anni fa io vedo già molta differenza. Stiamo a vedere tra altri dieci anni.
Devi sapere che, da quando ho letto Le Due Lune, passeggiare per Milano è diventata un’esperienza surreale. Stai riempiendo la mia città di diavoli, angeli e creature misteriose e alquanto inquietanti. Perché? Da dove nasce tutto ciò?
Quando ho iniziato a leggere a spron battuto gli urban fantasy americani (ero all’università, perciò correvano gli anni Novanta) mi ritrovavo periodicamente a domandarmi che effetto facessero quelle storie a chi viveva nella città in cui erano ambientate. Per me Chicago o New York erano luoghi con la stessa consistenza della Terra di Mezzo, ma cosa pensa – mi chiedevo – un newyorchese quando passa in una strada dove nel romanzo che stava leggendo la sera prima c’è stato un duello di magia tra uno stregone e un demone (per fare un esempio qualsiasi)? Quando mi hanno proposto di scrivere ‘Le due lune’, nel 2008, quelle fantasticherie di dodici anni prima mi sono tornate in mente, e ho pensato: “Lo faccio anch’io!”
Milano non è né Londra né New York, ma anche a Milano ci sono palazzi, cattedrali, antiche rovine, vicoli bui, periferie vagamente surreali (girateci di notte se non mi credete), zone pericolose e soprattutto duemila e più anni di storia e leggende. Ho sfidato me stesso a fare di Milano la mia metropoli urban fantasy, un po’ prendendo spunto da quel che c’è (o c’è stato), un po’ inventando quel che non c’è. Il risultato mi ha fatto discretamente contento, e ho constatato – non senza sorpresa – che è persino piaciuto. Per quanto mi riguarda, la sfida continua.
Prima di parlare di Le Due Lune e Quando il Diavolo ti Accarezza, libri recensiti sul blog, vuoi parlarci degli altri tuoi lavori?
Il mio primo romanzo, uscito nel 2006, è ‘Pentar’, un urban fantasy che forse non è fantasy (perché l’elemento fantastico sono divinità che usano l’elettromagnetismo per compiere i loro ‘miracoli’). Oggi penso che l’idea alla base della storia non fosse male, ma il libro non lo riapro mai: mi verrebbe da strappare le pagine e riscriverlo daccapo. Dopo quello, nel 2008, ho pubblicato un’antologia intitolata ‘Il libro dei peccati’, con racconti di vari generi.
Hai anche partecipato all’antologia Sanctuary, è stata un’esperienza differente?
Scrivere un racconto è più ‘leggero’. Non necessariamente più facile, ma di sicuro meno impegnativo su quasi tutti i fronti. A Sanctuary ho partecipato perché mi piaceva l’idea, e scrivere il racconto è stato divertente. Sono dell’idea – che mi viene spesso contestata, ma come sempre me ne sbatto – che il lettore si accorga se quel che ha davanti è stato scritto con gusto o no, al di là delle capacità intrinseche dello scrittore. Per questo cerco, quando posso, di scrivere provandoci gusto: perché sono convinto che la qualità del testo ne risenta in senso positivo.
Ho letto per ora solo due tuoi libri ed in entrambi racconti le tue storie dal punto di vista femminile. E’ stato un processo difficile, entrare nella testa di una ragazza e raccontare le sue emozioni?
È difficile rispondere. Non che non ci abbia provato – anche se in realtà la domanda mi è stata fatta di rado – ma non sono sicuro di esserci mai riuscito davvero. Sono sempre stato affascinato dalla prospettiva femminile: almeno la metà dei miei racconti, anche prima de ‘Le due lune’, ha per protagonista una ragazza o una donna. Ma quando si è trattato di affrontare un romanzo intero dal punto di vista di una ragazza – e perdipiù scritto in prima persona, quindi con una presa ‘forte’ sul suo modo di vedere le cose – da principio sono andato in panico. La mia reazione è stata chiedere a tutte le ragazze e le donne che conoscevo, in un range di età compreso tra i sedici e i cinquant’anni. Per settimane ho bombardato le mie amiche di domande di ogni genere, anche un tantino imbarazzanti, e loro hanno avuto l’infinita pazienza di spiegarmi cosa avrebbero pensato o come avrebbero reagito in una determinata situazione.
Al termine di questa specie di ‘ricerca sul campo’ non ero comunque tranquillo, ma mi sono detto: “Ok, tu non sei mai stato una diciassettenne, ma almeno sei stato UN diciassettenne. E i tuoi diciassette anni te li ricordi bene. Quando sei in dubbio, fai fare alla tua protagonista quello che avresti fatto tu.”
E da lì in avanti la cosa ha smesso di essere un problema. Ho scritto due romanzi con ragazze come protagoniste e in quello che sto scrivendo ora, che è più corale, una delle tre voci principali è ancora una volta una ragazza (anche se un po’ più grande delle precedenti). Se le mie ragazze siano credibili o no non sono io a doverlo né a poterlo giudicare, ma solo i lettori – e le lettrici! – però l’esperienza di immaginarmi donna mi ha colpito molto e non la scambierei con nulla al mondo.
Vuoi raccontarci di Le Due Lune ? Com’è nata l’idea di questa storia?
Nell’inverno tra il 2008 e il 2009 mi hanno fatto una proposta che suonava più o meno così: “Ti va di scrivere un YA fantasy ambientato in Italia che abbia una ragazza come protagonista?” La mia risposta automatica è stata “Sì, ma lei sarà un lupo mannaro e devo poterci mettere tutte le altre cose che voglio io.” L’editore si è detto d’accordo e io sono partito.
Ho impiegato tutta la prima metà del 2009 solo per la prima stesura. Conoscevo già la vicenda della ‘bestia feroce’ di Milano e avevo sempre pensato che sarebbe stato un ottimo spunto per una storia italiana di lupi mannari, ma volevo che ci fosse anche dell’altro, una dimensione soprannaturale più ampia. Così ho saccheggiato i miti e le leggende, prendendo i Luperci e le Strigi dalla storia di Roma antica, i Sotterranei e Regina la ragazza-fiore dal folklore delle Alpi, il conte Gorani e il suo palazzo dalle cronache del Settecento, e poi ho ridigerito tutto attraverso la mia ottica da nerd fatta di telefilm, giochi di ruolo, musica pop e fantasy anglosassone.
La formula deve aver funzionato, perché il libro ha venduto bene e alla fine di quest’anno verrà pubblicato anche in Germania.
Nelle ultime pagine di Le Due Lune, ci fai sperare in un seguito. Ci sarà?
In origine era previsto un secondo e ultimo volume, sempre con Veronica come protagonista. Poi però scelte e circostanze mi hanno portato lontano da lì, e ora come ora un finale ‘a sé stante’, come lo avevo pensato all’epoca, è poco probabile. Ma la storia ha bisogno di conclusione, e l’avrà: l’idea che ho al momento è quella di far riapparire Veronica, il conte e gli altri in un romanzo futuro in cui non ci siano solo loro – ossia che non sia uno specifico seguito de ‘Le due lune’ – e portare a compimento la loro storia lì. Magari coinvolgendo anche Lena e Arioch, o Azazel e Manfredo Settala, perché no?
Il tuo ultimo lavoro, edito da Salani, è Quando il Diavolo ti Accarezza. Cosa vuoi raccontarci di questa storia?
Questa volta l’idea è stata tutta mia, figlia della mia vecchia ossessione per le storie di angeli.
Di fantasy – e recentemente anche di paranormal romance – su questo tema già ne conoscevo molti, e alcuni mi erano piaciuti parecchio negli anni (uno per tutti, quel capolavoro che è ‘To Reign in Hell’ di Steven Brust), ma io volevo gli angeli che avevo incontrato in università, quelli degli apocrifi della Bibbia e dei miti gnostici, quei ‘mostri luminosi’ manichei, violenti e terribilmente alieni alla prospettiva umana. E volevo tornare nelle strade di Milano. E volevo sfogare la mia passione per i telefilm. E volevo vedere se sarei riuscito a scrivere un fantasy metropolitano dall’impianto noir sul modello di quelli degli autori che amo,  come Jim Butcher e Simon Green. Mettendo insieme tutta questa roba, e incatenandomi per mesi al pc per impedire alle distrazioni di portarmi chissà dove, è uscito ‘Quando il diavolo ti accarezza’.
Personalmente, l’ho adorato dalla prima all’ultima pagina, compresi i ringraziamenti finali dai quali, da inguaribile accanita lettrice, ho preso nota di tutti gli autori elencati. Quindi… continuerà la storia di Lena e Arioch? E ci racconterai ancora di Azazel? Possiamo sperare in qualche anticipazione?
Un seguito vero e proprio della storia di Lena e Arioch non è al momento in cantiere, ma questo non significa che non potrebbe esserlo in futuro. Ora sto scrivendo un romanzo che parla di altri personaggi, ma essendo ambientato almeno in parte a Milano, la stessa Milano dei libri precedenti, interseca anche questi ultimi, e infatti Lena e Arioch fanno la loro comparsa in un capitolo, come Ivan usciva da ‘Le due lune’ per apparire nel ‘Diavolo’ (ma qui la ragazza e il demone hanno più spazio). Concluso questo romanzo, che mi sta dando più filo da torcere del previsto, ho in mente una storia più breve e più leggera che avrà per protagonista proprio Azazel, e nella quale non è escluso che ricompariranno anche Arioch, Khaled e altri personaggi del ‘Diavolo’.
Ti ringrazio ancora moltissimo per la disponibilità e, sperando di vedere presto un tuo nuovo libro da comprare, mi inchino facendoti i complimenti perché ‘Quando Il Diavolo ti Accarezza’ è tra i migliori libri che ho letto quest’anno (e giuro! Non sto leccando il ****, tanto ormai a che serve? Alle domande hai gia risposto, giusto?!).

1 commenti:

Kaleela ha detto...

Grazie mille per la bellissima intervista^^

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